Ho sempre considerato l’area del Mediterraneo uno dei principali centri dei miei interessi, luogo ove rivolgere attenzione, sensibilità energie, poiché le ho costantemente attribuito, oltre alla primazia nell’edificazione della civiltà occidentale, anche la potenzialità a far sì che da quest’area possa tornare a nascere una civiltà rivitalizzata che, di fronte alle crisi dell’Occidente e all’occidentalizzazione nefasta dell’Oriente, possa riportare al centro dell’interesse dell’umanità i valori della cultura, l’amore per la spiritualità e il ritorno a quei principi che consentirono nei secoli passati al Mediterraneo di prosperare e di far convivere genti, ideali e concezioni diverse in un’identità unitaria che ha fatto la differenza.
Il convincimento da me perseguito del primato civilizzatore e unificatore del Mediterraneo è oggi più che un’ipotesi tutta ideale, bensì un elemento di convergenza nella riflessione politica europea ed internazionale ai più alti livelli, che riconosce come l’osmosi tra le civiltà nate nel bacino del Mediterraneo abbia generato quelle sensibilità comuni, che a loro volta hanno edificato l’Occidente per influsso delle culture provenienti dall’Oriente. La poesia, la letteratura, l’arte, ma soprattutto la religione, il concetto di democrazia, la primazia della legge civile, fanno parte di quel patrimonio consacrato nel corso dei secoli e che è progressivamente diventato parte integrante della civiltà mondiale. Certamente, la strada da fare è ancora lunga, e la declinazione pratica all’interno dei diversi ordinamenti extra europei di questi principi è continuamente messa in discussione da conflitti ed incomprensioni, spesso fomentati da fondamentalismi religiosi, che contribuiscono ad alimentare la concezione che il Mediterraneo sia più un problema da risolvere, piuttosto che un patrimonio da recuperare e valorizzare.
Nonostante ciò che appare in superficie, continuo ad essere convinto che la componente spirituale, così come essa si è manifestata e prosegue a manifestarsi nella nostra epoca, proveniente da quel Mediterraneo fucina continua di idee e risorse umane, economiche, morali, sia l’esatta terapia per curare quel fenomeno distorsivo della globalizzazione finanziaria che tanti guasti sta arrecando, e che ormai una coscienza mediterranea multipla e orgogliosamente condivisa sia la prospettiva salvifica in un mondo in cui conflitti, muri, nazionalismi insensati danno la sensazione di prevalere.
Sul Mediterraneo, come noto, la letteratura e le occasioni di approfondimento sono immense, e tuttavia, la retorica è stata spesso la chiave di narrazione preferita, tanto da farne uno spazio mitologico, magico, in cui le sue acque arrivano a toccare le vette dei cieli. Territorio di mediazione, crocevia di culture e civiltà, che hanno lì avuto modo di conoscersi, incontrarsi, contaminarsi, scontrarsi; mare delle letterature, dei confronti fra culture, religioni, e società differenti; luogo dell’avventura e della ricerca; scenario di migrazioni da sempre; teatro di conflitti profondi e terribili; universo delle differenze che, invece di essere apprezzate come una ricchezza, vengono considerate pretesto per rivendicare identità radicali e supremazie politiche, economiche e religiose. Il Mediterraneo è sicuramente tutto questo, ma occorre passare dallo sguardo sognante all’azione concertata e programmata da parte dell’Europa tutta, innanzitutto, ma ovviamente anche da parte dei Paesi che si affacciano sul mare, perché questo spazio geopolitico, concreto, non idealizzato, possa tornare a ricoprire quel ruolo di guida e di propulsore che aveva nell’antichità, fungendo da “ponte” con il Medio ed Estremo Oriente a favore del dialogo e della feconda contaminazione fra civiltà che hanno una radice comune, con l’obiettivo di superare le diversità e ricomporre le drammatiche lacerazioni cui stiamo assistendo in questa nostra epoca, soprattutto attraverso la forza immateriale, ma universale, della cultura. E questo, non certamente per ragioni di prestigio politico, economico o per volontà di supremazia su chicchessia, ma semplicemente perché il Mediterraneo torni ad essere “palestra” di dialogo e di collaborazione, capace di offrire un contributo fondamentale ed originale per ridurre il gap di sviluppo che esiste tra le due sponde, per capire gli strumenti più efficaci per la crescita economica, sociale, civile delle popolazioni della parte africana, soprattutto, così da costruire prospettive concrete, affinché il miglior capitale umano là presente possa preferire di concorrere allo sviluppo del proprio Paese, piuttosto che rischiare la vita affrontando traversate sempre più rischiose, affidate agli schiavisti del terzo millennio.
In questa ambiziosa, ma necessaria e non superabile prospettiva, il nostro Meridione rappresenta la naturale cerniera tra i due mondi che si affacciano sul mare, al quale bisogna guardare con l’intento di riconoscersi come comunità capace di trasmettere valori improntati sulla pace, sul rispetto della pari dignità di ciascuno, sulla consapevolezza che ogni intervento superi la logica coloniale dei decenni scorsi, per fornire alle popolazioni indigene gli strumenti necessari e sufficienti per sfruttare le grandi risorse naturali ed umane là presenti. È necessario edificare una civiltà basata su un’economia solidale, aperta e sostenibile, attenta al rispetto dell’ambiente e capace di vedere i punti di forza e di criticità di ogni contesto, ed in cui le risposte ai bisogni della gente arrivino cariche di quella umanità che la spiritualità del mondo mediterraneo da sempre rende manifesta e presente. Questo presuppone che ognuno di noi riconosca le differenze dell’altro, le accolga come un valore aggiunto, accettando di mettersi in gioco con pazienza e determinazione, consapevole di gettare semi di progresso, di civiltà e di pace che, una volta attecchiti, cresceranno col tempo e col lavoro costante e concorde di tutti.
Civiltà, progresso e pace, concetti di cui talvolta si abusa, ma che costituiscono riferimenti imprescindibili in questo spazio da sempre abituato ad avvicinare le disuguaglianze, ad aprirsi alla dimensione globale, a raccordare il Nord sviluppato con il Sud, spazio che è cifra identitaria di noi tutti, perché, se è vero che siamo diversi in quanto ebrei, cristiani e musulmani, diversi in quanto europei, africani, asiatici, di certo non possiamo non dirci, tutti, mediterranei.
Eppure, nonostante conferenze internazionali e summit ricorrenti, programmi pluriennali e proclamazioni di principio, il Mediterraneo resta un tema negletto per le élites mondiali, con eccezione, forse della Cina che, però, sembra orientata a colonizzare economicamente l’Africa, investendo il suo enorme surplus finanziario, guardando prevalentemente ai propri interessi di egemonia globale. Nell’atarassia politica internazionale di tutti gli altri, continuamente distratti da nuovi o presunti conflitti più o meno locali, in qualità di Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, sto lavorando alacremente per seminare un buon raccolto, fatto di interventi circoscritti, certo, ed ovviamente non risolutivi, ma concreti e rispondenti ad effettive necessità delle comunità del bacino del Mediterraneo inteso in senso ampio, per gettare le basi di un percorso federativo degli Stati mediterranei, il cui protagonista sia quel mondo cui appartengo, il privato no-profit che si occupa di aiutare i meno fortunati, e che in Italia ha gloriosa e radicata tradizione di solidarietà. I riconoscimenti ricevuti per il lavoro finora svolto, di respiro e livello internazionale, e soprattutto, il valore aggiunto che abbiamo contribuito a creare con i diversi interventi nei settori della salute, della ricerca scientifica in ambito bio-medico, della cultura, della formazione dei giovani più volenterosi e dinamici, dimostrano che la strada intrapresa è quella giusta, e che essa potrebbe rappresentare l’apripista, affinché altre realtà, pubbliche e private, possano con coraggio sperimentarla.
Come orgogliosamente ripeto, vengo da una terra, la Sicilia, in cui il rapporto degli uomini con il Mare Nostrum ha costituito il collante tra le varie civiltà che là si sono succedute, tanto che amo spesso ripetere che io mi considero, prima di ogni altra cosa, “Uomo Mediterraneo”. Provengo da una terra felice, dove il problema del conflitto razziale non è mai esistito e dove per secoli hanno convissuto in pace religioni, etnie, culture apparentemente diverse ma unificate dal desiderio della bellezza, della grandiosità, della visione e soprattutto dalla spiritualità del territorio. In Sicilia hanno, per secoli, convissuto le popolazioni autoctone frutto delle colonizzazioni orientali e non solo, e nel tempo gli eredi delle civiltà greco-romane, bizantine, arabe, normanne e poi francesi, spagnole, arbëreshë (albanesi d’Italia), e hanno vissuto per lunghi periodi in pace, lasciando testimonianze meravigliose delle loro tradizioni, delle loro culture e delle loro capacità. Per questo, da anni propongo che la Sicilia diventi come “la Bruxelles” degli Stati del Mediterraneo, ma non la Bruxelles burocratica, autoreferenziale, inefficiente e costosa che purtroppo conosciamo, bensì la Bruxelles ideale, agile, pronta ad intervenire laddove necessita e richiesto, professionalmente e politicamente competente, discreta e rispettosa delle peculiarità e della storia di ciascuno. Sarebbe, tra l’altro, un’occasione privilegiata per la mia terra e per tutto il Meridione del Paese per recuperare parte di quel drammatico divario col Nord, frutto di ragioni storiche antiche e di scelte sbagliate assai più recenti, e che in grande misura determina la modesta crescita generale del sistema Italia. So che realizzare tutto ciò è molto difficile, so che è un sogno, ma io, come poeta, tendo a nutrirmi di sogni, associando ad essi, però, la determinazione e la concretezza delle idee e dei progetti che ritengo possano concorrere alla realizzazione di quel sogno.