Negli ultimi anni, si è potuto constatare come il ruolo voluto dal legislatore per le Fondazioni di origine bancaria a partire dalle leggi “Amato” e poi “Ciampi”, fosse stato disatteso dalle interpretazioni soggettive di detta normativa, operate dai vertici Acri, guidati da politici di lungo corso, poco avvezzi ai temi della finanza e dell’economia.
Questi signori, definiti da molti come i grandi protagonisti della prima stagione delle Fondazioni, distorcendo lo spirito inspiratore dell’intera costruzione normativa, hanno nel tempo realizzato numerose iniziative in ambito creditizio e finanziario, venendo incontro alle sollecitazioni degli esponenti politici presenti all’interno dei vertici delle Fondazioni stesse. I risultati di queste scelte e di questi indirizzi, dopo un po’, sono apparsi evidenti a tutti, poiché la crisi delle banche, correlata a quella economica generale del Paese, ha influito pesantemente sulla redditività delle partecipazioni bancarie delle Fondazioni che, private delle risorse necessarie per sostenere il proprio territorio di riferimento, nella gran parte dei casi si sono viste costrette a ridurre, e talvolta a cessare del tutto, l’attività filantropica. Dal Nord al Sud, le Fondazioni hanno dovuto drasticamente ridurre le loro erogazioni a sostegno delle comunità territoriali, continuando a sostenere solo attività marginali rispetto alla missione filantropica che costituisce la vera ed unica ragion d’essere di queste istituzioni. Se a tutto questo si aggiunge il desiderio della politica di interferire non solo nell’ambito economico-finanziario, ma anche operativo e istituzionale, si arriva facilmente a comprendere il tentativo del ministro Tremonti di porle surrettiziamente sotto il controllo pubblico. In opposizione a questo disegno, provvidenzialmente si manifestò la volontà della Fondazione Roma guidata dall’allora Presidente Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele, oggi Presidente Onorario, che, per prima e autonomamente dall’Acri, avviò il percorso giudiziario che portò alle vincenti sentenze della Corte costituzionale, che fermarono il progetto del ministro. Coerentemente alle scelte assunte, divergenti rispetto a tutte le altre Fondazioni, la Fondazione Roma continuò il proprio percorso di separazione dall’Acri e dallo stesso sistema delle Fondazioni bancarie, avviando un’istanza al TAR del Lazio per sottrarla alla vigilanza del ministero dell’Economia e delle Finanze, visto che, come previsto dalla disciplina vigente, essa non era più titolare di partecipazioni di controllo, diretto o indiretto, in società bancarie. Come noto, il TAR diede inizialmente ragione alla Fondazione Roma e soltanto in sede di appello al Consiglio di Stato, in forza di un emendamento ad una legge che trattava di tutt’altre tematiche, fatto inserire all’ultimo momento dal ministro Tremonti, secondo il quale fino a che non fosse istituita, nell’ambito di una riforma organica, una nuova autorità di controllo sulle persone giuridiche private, la vigilanza sulle fondazioni bancarie resta in capo al ministero dell’Economia e delle Finanze, indipendentemente dalla circostanza che le Fondazioni controllino società bancarie, la Fondazione Roma si vide respingere l’istanza. Come si sa, siamo ancora in attesa di conoscere, a distanza di più di dieci anni dalla decisione del Consiglio di Stato, tale riforma, col risultato che la Fondazione Roma, che di fatto, non fa parte delle Fondazioni di origine bancaria, è costretta a rendicontare la propria attività anche al ministero dell’Economia e delle Finanze, che di ben altre cose si occupa.
Nonostante tutto quanto accaduto, si torna a leggere sui soliti quotidiani del nord, che le Fondazioni “tornano al centro della scacchiera” finanziaria, ritrovando quel potere che sembravano aver perduto. In sostanza, pur essendo stata certificata dai fatti l’incapacità di gestire al meglio i propri patrimoni, le Fondazioni tornano alle abitudini mai evidentemente del tutto cessate, quelle, cioè, di voler essere protagoniste degli assetti partecipativi di banche ed assicurazioni, da cui trarre vanamente proventi per l’attività filantropica, come dice un vecchio adagio “Non vi è peggior sordo di chi non vuole sentire”. Tuttavia, sorprende non poco constatare come, nonostante i limiti imposti alle stesse Fondazioni proprio con riferimento all’entità delle partecipazioni bancarie a seguito del Protocollo congiuntamente sottoscritto dal Tesoro e dall’Acri nel 2015 nell’intento di evitare ulteriori dissesti finanziari, che hanno interessato molte Fondazioni, sembra che niente sia accaduto. Eppure, tutto il resto del mondo è cambiato, a cominciare dal settore finanziario: gli azionariati delle banche e delle assicurazioni sono ormai molto poco italiane, e somigliano sempre più a public company. Solo le Fondazioni bancarie sembrano non voler cambiare, ed insistere a scegliere una strada contrastante con la disciplina vigente e con le indicazioni stesse del Tesoro, come dimostrato dal loro rinnovato protagonismo con riguardo a Unicredit, Generali, Intesa, BPM, una strada che ha loro prodotto soltanto guai e dissesti finanziari. Per finire ancora con un noto proverbio, “errare è umano, ma perseverare è diabolico”.