Di fronte ad alcuni articoli apparsi in occasione del convegno promosso dall’Acri in occasione dei 30 anni dalla nascita delle fondazioni di origine bancaria come pensate dalla legge “Amato”, occasione nella quale c’è ben poco da celebrare e festeggiare, in particolare di fronte all’ennesimo intervento sul tema apparso su Milano Finanza il 27 novembre scorso, viene purtroppo da pensare che una cosa sia la realtà come solo l’Autore si ostina ad interpretarla, e ben altra cosa sia la realtà dei fatti, cioè la fedele descrizione di quanto effettivamente accaduto, che non è esattamente quanto si legge, invece nell’articolo sopra citato.
Dopo aver ricordato le origini delle fondazioni bancarie, ed aver opportunamente fatto menzione dei reiterati tentativi subiti da queste realtà da parte dei vari governi di turno, diretti a limitarne l’autonomia operativa e ad impossessarsi dei loro patrimoni, l’Autore, nel far cenno alla riforma del ministro Tremonti, diretta a controllare le fondazioni attraverso l’immissione nei loro vertici di una quota maggioritaria di esponenti di estrazione politica, attribuisce l’esclusivo merito dell’opposizione e della vittoria in sede giudiziaria contro questo disegno egemonico a colui che definisce “il demiurgo di questo mondo”, Giuseppe Guzzetti, cui assegna anche ogni successiva meritevole azione diretta alla crescita e allo sviluppo di questi enti.
Ebbene, la verità vera sta da tutt’altra parte.
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare non molto tempo fa, sempre con riferimento ad un analogo articolo del medesimo Autore, l’ex Presidente dell’Acri Guzzetti è, piuttosto che il “demiurgo”, il responsabile della crisi delle fondazioni di origine bancaria iniziata in contemporanea con il crollo delle banche da esse partecipate, fondazioni indotte a reiterare a qualunque costo il legame con queste ultime proprio dal citato Guzzetti, artefice, questo sì, di indirizzi costantemente accomodanti nei confronti delle richieste degli esecutivi di turno. A tal proposito, è esemplare la vicenda della Cassa Depositi e Prestiti. Nonostante la vittoria in sede giudiziaria davanti alla Consulta contro il disegno prevaricatore del ministro Tremonti, battaglia intrapresa per primo e in via autonoma rispetto all’Acri ed alle altre fondazioni dal Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele, all’epoca Presidente della Fondazione Roma, come dimostrano le date dei ricorsi presentati ai Tribunali amministrativi e alla Corte costituzionale, a distanza di pochi mesi dalle brillanti sentenze della Corte costituzionale che avevano spazzato via quel disegno, Guzzetti induceva le fondazioni aderenti all’Acri ad accogliere la richiesta dello stesso Tremonti, sconfitto, di entrare nel capitale della Cassa Depositi e Prestiti, esponendo le fondazioni aderenti ad un ruolo ancillare nei confronti dell’attività della Cassa e del suo azionista di riferimento, il Tesoro, e per di più, contribuendo a rendere ambigua la natura privata delle medesime fondazioni, pur sancita autorevolmente dalla Corte costituzionale.
La politica di sussiego nei confronti delle mai cessate pretese della classe politica, il favore verso il mantenimento di uno stretto legame con le banche partecipate, nonostante le crescenti difficoltà da esse via via registrate, e nonostante l’espresso divieto normativo, sono stati gli elementi che hanno condotto le fondazioni alla grave crisi di questi ultimi anni, che ha causato la desertificazione della loro azione filantropica in tutto il Paese, con la sola parziale eccezione del Nord Ovest, dove le pur grandi fondazioni là presenti si sono trovate in taluni casi ad avere i bilanci in rosso (Fondazione Cariplo) o a dover fare i conti con l’ingombrante e spesso conflittuale presenza dei politici nei propri organi (Fondazione Compagnia di San Paolo).
Da osservare ancora, sempre per far emergere la verità purtroppo disattesa, che il protocollo d’intesa Acri-Tesoro del 2015, anch’esso imputato alla presunta lungimiranza del Guzzetti, è stato un atto necessitato e fortemente richiesto dalla parte pubblica alla luce della resistenza delle fondazioni aderenti all’Acri a voler dismettere le partecipazioni rilevanti nelle banche di riferimento ed a diversificare l’investimento del loro patrimonio, obbligo previsto dal legislatore fin dalla legge “Ciampi” del 1999 e del tutto ignorato dalle fondazioni, che hanno continuato a destinare ingenti risorse ad inutili aumenti di capitale delle banche stesse, sottraendole all’unica attività lecita e legittimata dalla loro storia e dal legislatore, quella a sostegno delle comunità locali.
Come già abbiamo avuto modo di segnalare nel recente passato, l’unica voce fuori dal coro è stata quella della Fondazione Roma e del suo Presidente, Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele, che, durante il suo mandato, ha sempre tenuto la barra dritta, perseguendo scelte precise e chiare che si sono rivelate profetiche: il rispetto del dettato del legislatore Ciampi circa i compiti della Fondazione, la difesa instancabile della peculiare natura privata della Fondazione da ogni attacco proveniente da chicchessia, la non presenza nel capitale delle banche da cui si è sistematicamente allontanato. Egli per primo ed in via autonoma, senza alcun tentennamento o intento di mediazione, come detto, impugnava la riforma “Tremonti” in tutte le sedi giudiziarie; non aderiva all’invito “politico” di partecipare alla Cassa Depositi e Prestiti o altre operazioni finanziarie altrettanto pericolose ed inopportune come il “Fondo Atlante”; per primo avviava la separazione definitiva della Fondazione Roma dalla banca di riferimento, dismettendo la partecipazione a partire dal 2003, e diversificando l’investimento del patrimonio, ricevendone risultati sempre di assoluto livello, che hanno permesso alla Fondazione di rispettare e, anzi, moltiplicare la propria presenza solidale a favore del territorio, soprattutto durante l’emergenza sanitaria, in controtendenza rispetto alla gran parte delle altre Fondazioni bancarie aderenti all’Acri, costrette, a ridurre le erogazioni per scarsità o blocco dei dividendi dalle banche partecipate, o a ricorrere al Fondo di stabilizzazione delle erogazioni; infine, a suggello dell’incompatibilità degli indirizzi propri con quelli assunti dall’Associazione, sceglieva di uscire dall’Acri nel 2010.
L’Autore dell’articolo di Milano Finanza del 27 novembre scorso e di quelli precedenti sullo stesso tema, prenda finalmente consapevolezza che il citato Guzzetti, in forza di quanto effettivamente accaduto, non può certo considerarsi il “demiurgo” delle fondazioni, ma casomai il loro “esecutore testamentario”, e magari impieghi meglio il proprio tempo, facendo, per esempio, luce su quante risorse le fondazioni hanno bruciato nel seguire gli aumenti di capitale sociale delle banche e nell’investire nel “Fondo Atlante”. Il trentennale delle fondazioni, allora, potrebbe essere l’occasione più opportuna per ricostruire la verità dei fatti, per un riesame delle scelte di Guzzetti e, se perfino Tremonti ha avuto l’onestà intellettuale di dichiarare, seppur a distanza di molti anni, di aver sbagliato a proporre la sua riforma del 2001, anche per auspicare che lo stesso Guzzetti sia finalmente ispirato a cospargersi il capo di cenere.